Il premio
Fondato dall’ACEC Liguria, il Premio Pittaluga nasce come un riconoscimento dedicato alle professioni del cinema ed è un’iniziativa culturale che intende avvicinare il pubblico alla settima arte tramite l’incontro con alcune delle sue figure chiave, quali produttori, distributori, esercenti, operatori culturali e filmmaker indipendenti.
La manifestazione si svolge principalmente a Genova e a Borghetto Santo Spirito (SV) e si articola in una rassegna cinematografica; in un ciclo d’incontri con i professionisti della settima arte; in una serie di presentazioni di libri dedicati al cinema; in due mostre cinematografiche; nella circuitazione nelle sale ACEC e FICE della regione di un film realizzato da un filmmakers ligure e, naturalmente, nella consegna del “Premio Cinematografico Stefano Pittaluga 2022”.
Il Premio è dedicato a Stefano Pittaluga, importante distributore e produttore genovese attivo tra gli anni Dieci e gli anni Trenta del Novecento.
Chi era Stefano Pittaluga
Nato a Campomorone (GE) il 2 Febbraio 1887, morto a Roma il 26 Aprile 1932.
Giovane distributore ed esercente è il primo autentico tycoon nazionale.
Nell’arco di una dozzina d’anni porta la propria società al controllo di 200 sale su 2500 circa in allora aperte in Italia e all’esclusiva della maggior parte di case di produzione italiane e di molte case straniere, quali la Metro Goldwyn
Mayer, la Fox e la Paramount. Sostenitore coraggioso del sonoro (si deve a lui il merito della prima al Supercinema di Roma di “Il cantante di jazz” – 1927), attrezza le prime sale in Italia coi nuovi dispositivi, noncurante dei protezionismi americani.
Nel 1929 ristruttura, in funzione del sonoro, gli stabilimenti Cines di Roma ed entra massicciamente nella produzione. Si devono a lui alcuni film epico-storici con B. Pagano (Maciste); di sua produzione anche il film La canzone dell’amore (1930) da un soggetto di Luigi Pirandello, diretto da Gennaro Righelli.
In seguito la legge sul cinema del 18 giugno 1931 accoglie i suggerimenti di Pittaluga: da un lato, impone un tributo a chi importa o doppia i film stranieri (tributo ora scomparso), dall’altro concede crediti e premi in denaro ai produttori italiani calcolati sugli incassi (norma tuttora esistente). La nuova legge contribuisce così ad incrementare la produzione italiana e
Pittaluga prosegue il suo lavoro di distributore, esercente e produttore. In quest’ultimo campo sono da citare numerose commedie leggere come Patatrac (1931) di Righelli, Rubacuori (1931) di Brignone, La segretaria privata (1931) di Alessandrini. Di sua produzione anche film di alcuni tra gli autori più
interessanti di questo decennio come Sole, opera prima di Alessandro Blasetti, e Rotaie di Camerini, entrambi del 1929.
Nel 1932 Pittaluga scompare prematuramente lasciando in eredità la “sua” Cines a Emilio Cecchi, fine critico letterario e cinematografico che avrà in seguito il merito di coinvolgere nelle future sceneggiature dei film italiani scrittori come Pirandello, Alvaro, De Stefani, De Benedetti, Bonelli e, nelle musiche, compositori come Malpiero, Caggiano, Labroca, Rota.
Articoli
STEFANO PITTALUGA
Articolo di AntonGiulio Bragaglia su Rivista Cinema (num. , Anno)
CAMMINAVA dritto e fiero, a testa alta: burbero e ruvido, o sorridente, secondo che gli andassero avverse o favorevoli le cose. Quando apriva bocca, lui che non sapeva parlare a voce bassa, pronunziava le sue osservazioni come non ammettendo repliche. Teneva cosi alta la voce perché nella vita non gli era toccato meno di parlare con un altro, che contendere con un avversario. L’interlocutore era, per lui, sempre uno che voleva vendere o comprare: anche quando fosse un’attrice che aspirasse a fare un film. Gagliardamente positivo quale egli era, se pure il suo interlocutore fosse un artista, non a torto questi appariva a lui come un mercante di merce artistica, che offriva all’industriale discutibili prodotti. Quando parlava, dunque,· egli presupponeva questo substrato ad ogni colloquio, ed ecco che alzava la voce.
Eppoi le questioni del cinema erano per lui come fatti personali, tanto vecchie e dibattute. Il suo spirito, appassionato e accanito, era cosi imbevuto dei problemi italiani del film che, si può dire, egli non esisteva se non per quei problemi. Essi si identificavano con la sua stessa personalità.
Era un uomo che sapeva prevalere : per questo poteva sembrare un prepotente. Noi che lo conoscevamo, sappiamo come non lo fosse, perché alla insistenza delle convinzioni altrui, egli sapeva anche cedere. Ma non era un debole quando – presa già una decisione – tornava sui suoi passi, e magari si rimangiava le proprie idee. Era, questa sua, una benintesa interpretazione della fermezza: certezza d’ indirizzi, non ostinazione negli errori. Sapersi ravvedere è senso di chi non teme di sembrar debole col ricredersi. Un malinteso spirito di ostinazione confonde la caparbietà con la serietà: e mescola il capriccio delle impuntature in errori riconosciuti per tali, col senso vanesio di un’alta dignità direttiva, al cui fastigio non sarebbe consentito di tornare indietro confessando l’errore. Pittaluga era troppo intelligente e spiritoso da prendersi sul grave in questo modo infallibile, era superiore nel suo spirito gagliardo e italiano, vale a dire agile nel buon senso. Quante volte egli non ha ceduto, discutendo con noi, mentre poteva fare il pugno di ferro?
Io stesso ho imparato ad apprezzarlo, ho imparato ad amarlo tra discussioni e liti feroci. In esse egli faceva prevalere la ima forza, solo in ciò che riguardava il film, dove in conclusione si doveva fare quello che voleva lui (quindi l’autore e il gerente responsabile era lui). Ma, nel resto era leale e cavalleresco. Volendosi tracciare un ritratto moraie di questo ligure audace e appassionato, in primo piano sarebbe da illuminare la generosità dell’avversario. Mi è sfuggita la parola avversario e non l’ho cancellata. Tant’era, nel senso migliore. Del Nostro abbiamo pure dichiarato la generosità! Egli non sapeva trattare che da avversario. Amichevole, magari affettuoso, ma avversario. Un senso di sfida prevaleva su ogni suo tono. Quasi intendeva mettere alla prova i suoi direttori e sottodirettori dei venti reparti sfidandoli a cimentarsi col controllo delle sue osservazioni. Tutto questo portava, senza volerlo, a diminuire la personalità di coloro, schiacciati dalla personalità sua, che aveva corpo da prevalere. Ma la sua generosità attutiva i colpi della sua personalità, dominante per carattere e potere, ma tuttavia trattabile . Gli sarebbe stato impossibile costruire il suo immenso edificio, senza che alla titanica personalità non fosse unita la generosità, a suggerire le conciliazioni. Vi ricordate il bel sorriso che illuminava la faccia franca del nostro amico? Quando ci dava la mano, la stringeva gagliardo e sicuro. Ci potevate contare.
Quando avrebbe dovuto fare con voi delle scene ipocrite, le solite false tergiversazioni, non vi riceveva. Erano i giorni in cui si diceva avesse tanto da fare! Parlavate coi suoi direttori, allora; e i fumi del mistero pittalughiano circonfondevano, sempre piu, le olimpiche inaccessibilità della sua scrivania. Ma non era, questo contegno, un’altra espressione della sua lealtà? Se vi avesse ricevuto avrebbe sbottato a dirvi guelfo che, per il momento, non poteva e non doveva, per convenienze sue e magari vostre. Era un uomo. Non poteva diminuirsi ai propri occhi, facendosi vedere a fare il meschinello gesuita con voi. Cosi preferiva non ricevervi. Noi ci infuriavamo lo stesso, ma non è che non lo comprendessimo anche allora!
Modesto e insofferente d’ogni forma di vanità, il suo carattere di orso non fa che riprovare quanto Egli fosse uomo di sostanza e per la sostanza. Tra l’altro rifuggiva dalla Pubblicità personale, e, ben diverso dai suoi colleghi americani, aveva ripugnanza dei ritratti. Questo impresario di fotografie non lascia di sé che poche istantanee di réportage. Mio fratello gli fece una volta tre ritratti per un annuario tedesco del cinema, ma lui si fece consegnare le lastre e le nascose.
Quando mori, noi che anche al cinema avemmo tendenze moderne di generi, sebbene non ci fosse dato di poter fare a testa nostra chiedemmo subito: « E ora cosa avverrà? Quali idee prevarranno? Arte o Industria?»:
Rispose il mio interlocutore : « Speriamo che ora non si venga con idee vane, di arte, se no si va a rotoli ». Io pensai allora che non fosse tutto lui, Pittaluga, l’ostinato a considerar vane le idee d’arte, come cose astratte e dilettantesche: e pensai se per caso non fosse ostilità di ambiente, quella che ci costringeva a marciar come anarchici, sotto la sorveglianza speciale, tra diffide e controlli, da respirare a fatica.
Pittaluga aveva simpatia per i giovani. Basti vedere quanti giovanissimi tecnici e attori, fiorirono ai suoi tempi alla Cines. Ma basti vedere il caso Blasetti, caratteristico fra tutti. Perfino verso le idee cosiddette di avanguardia non era del tutto ostile. Solo che partendo, come industriale, dal concetto dell’affare più facile, da preferirsi a ogni altro, eccolo sulle vie già battute e su quelle di un genere artistico per tutte le categorie. Quindi le idee artistiche di una certa classe gli apparivano incomprensibili per l’altra. Possiamo, dunque, asserire che Pittaluga non avrebbe accettato neanche i programmi di cinema per il popolo, che realizzano i russi, per quanto pure siano arte proletaria destinata alle classi più vaste e alle mentalità più semplici.
La mia critica non diminuisce l’uomo, né lo mostra in errore. Lui faceva quel che poteva: quello che è non .gli sembrava spericolato ardire. Se e’ era uno che conosceva la vasta platea italiana, questi era Pittaluga. Non sbagliava quasi mai, prevedendo l’accoglienza del proprio pubblico. E, badate, egli .giudicava un film soltanto pensando al giudizio del pubblico grosso. Lui conosceva i suoi polli e forse per questo ci consigliava di non avvicinare gli umori della platea russa a quelli della nostrana. Nello spettacolo sono le tecniche che fanno le estetiche e al cinema, il modo di porgere è tutto. Per questo vigevano – e vigono ancora – le lotte tra il direttore artistico e l’industriale, circa la manomissione del montaggio di un film da parte dell’impresario. E’ riconosciuto, infatti, che il montaggio è il fondamento del film e del diritto d’autore morale dal direttore: esso può contenere il segreto del successo. Perciò i lavori dei comunisti vanno bene in certi paesi, per cui una casa americana pagò a Pudowkin non so quanti milioni d’indennizzo perché rinunziasse a fare il film per il quale era stato impegnato! Ecco un gesto di sicurezza nelle proprie esperienze popolari e nelle previsioni relative, che Pittaluga avrebbe avuto la capacità di fare. Sapeva bene, lui,. come agisce sui nervi di una folla nostrana, il meccanismo di un film. Perché egli ne sapeva proprio il meccanismo, il gioco del funzionamento.
La sua giornata era piena fino all’inverosimile. Seguiva in ogni particolare i film in lavorazione e, se da questo poteva venire anche un danno, ciò era solo nel fatto che egli tanto bene conosceva le scene ,dei suoi film, da immaginarsele a proprio modo prima della realizzazione; onde poi talvolta discussioni sul realizzato, quando questo era naturalmente lontano, più o meno da come lui se l’era immaginato. Ma il fatto vi dice la passione del produttore. Era essa in questo lato più o meno cara a chi dirigesse per conto suo; ma certo oggi si può dire che il suo personale contributo alla nascita di un film egli lo portava tanto nella scelta del soggetto, quanto al dettaglio nella sceneggiatura, nelle scenacce, nei finali, nei tagli e anzitutto nella scelta degli attori, come nello stile della messinscena. Quasi il film lo facevano Lui e Besozzi. Per questo io dissi che rulla Cines un direttore era un volante che si credeva di essere chauffeur. Naturalmente quella mia era una battuta satirica, ma essa non ci vieta ora di ricordare la potente, per quanto invadente, personalità di quest’uomo d’eccezione. Una volta mi invitò a fare un film ch’era intitolato « Mare », eppoi si chiamò segretamente Vele ammainate. Aldo Vergano scrisse un soggetto e lui lo modificò secondo il principio della giovane vergine sedotta e perseguitata e dell’eroe salvatore e vendicatore. Ruffiani e gente esotica, velieri e tempeste agitavano hl soggetto imposto a quel modo. Impegnato com’ero feci quel che potetti per difendermi dalle banalità; ma non ci fu verso. Quello fu l’ultimo mio tentativo di combinare col cinema ch’era stato – prima del teatro – la mia tentazione spettacolare. Oggi ringrazio Pittaluga di avermi disgustato (cioè di non avermi traviato dalla strada nobile, che è quella della vecchia scena). Era lui che vedeva tutto, sapeva tutto e tutto ancora voleva sapere e vedere. E in questo non si circondava di falsi informatori o di piccole .spie, ma guardava da sé e sentiva tutte le campane. L’organizzazione della tecnica era un fatto che il genovese aveva capito a fondo, e non era giunto, con questo, a crearsi attorno una burocrazia della tecnica, come è facile pericolo che avvenga, per malinteso di ordine. Cosi egli potette, in breve tempo, formare maestranze espertissime e dare una produzion che di film in film raggiunse il segno di una perfezione sempre piu progredita, fino a riconquistar la fiducia del pubblico italiano verso la produzione nostrana prima disprezzatissima. Questo costituisce ancora il piu grosso servigio reso da Pittaluga alla cinematografia nazionale. Se vi ricordate come un tempo il pubblico voltasse il naso indispettito ai manifesti annuncianti un film di produzione italiana, si rifletterà ben attoniti al fatto che oggi i film italiani sono quelli che nelle sale di proiezione fruttano di più.
Aveva cominciato ad occuparsi di cinematografo da giovanissimo e tutti sanno come egli venisse dalla gavetta; pertanto competente di tutti i rami dell’industria, avendoli personalmente trattati tutti. Cominciò come noleggiatore. Viaggiava tra Genova e Torino a collocare i primi filmetti. Viveva in treno; arrivando sui luoghi la mattina e correndo tutto il giorno per i suoi traffici. Cominciò a lavorare con la produzione degli altri, per gli schermi degli altri; poi lavorò per gli schermi propri, infine riusci a produrre da sé, concludendo industrialmente la sua meravigliosa carriera di commerciante. Avrebbe potuto realizzare guadagni personali formidabili vendendo all America il controllo dei cinema italiani da lui coordinati. La coscienza dell’italiano e l’idealità del lottatore gli fecero rifiutare la pingue realizzazione.
Il film sonoro trovò prontamente sensibile il commerciante Pittaluga. Egli fin dal primo momento intuì le possibilità nazionali che risorgevano col parlato, e i vantaggi artistici di commento auditivo corrispondente, che sopraggiungevano al cinema col mezzo sonoro. Capì che l’occasione di tentare qualche risorgimento della produzione italiana, era stavolta eccezionale. Pittaluga questo senti e realizzò per il primo dando l’esempio del ripristino dell’industria del film in questo paese che già ieri si teneva alla testa del mondo. Né tutto questo fece solo per speculazione. Un lato insospettato del mio amico farà stupire non pochi quando si asserisca che come produttore Pittaluga era animato da un idealismo disposto ai sacrifici e pronto alla lunghe resistenze penose.
Nella storia della cinematografia italiana la figura di Stefano Pittaluga è, dunque, protagonista. Ed essa rappresenta il contrario di quello che disgraziatamente per noi la cinematografia italiana è stata dal suo primo periodo: avventura e speculazione. Stratega lento e previdente, lottatore calmo e tenace, Stefano Pittaluga portò il sistema e l’ordine nel vecchio mondo del nostro cinema, istituendo sistemi di correttezza ispiratori di fiducia e di lealtà commerciale. Siccome egli era un industriale che speculava sul domani, non poteva che fondare i suoi sistemi sull’attività onesta e leale, contro le destre manovre di chi si contenta di arraffare quel che capiti, con mentalità di rubagalline. La chiarezza e la probità furono risolutamente le basi della riforma commerciale pittalughiana, imposta a un mercato per tanta parte governato da trappolieri, per i quali il commercio cinematografico era basato sulla cosiddetta fregatura. Nel periodo più catastrofico della nostra cinematografia, quando tutto andava a rotoli in conseguenza di questa mentalità, Stefano Pittaluga tenne duro sviluppando il suo piano di monopolio delle sale, per l’accentramento di forze che consentissero unità direttrice ai commerci con l’estero. Era l’epoca in cui la maggioranza delle ditte non producevano nlm seguendo l’onestà commerciale di far bene, ma con la malintesa furberia dello spender poco.
Era l’epoca che vedeva normalizzati certi sistemi briganteschi, senza che chi abbia assistito a quel periodo come noi, possa dire esagerato il giudizio. Il programma metodico di Pittaluga incontrò ostacoli e avversità che non lo spaventarono. Il suo nemico più forte fu lo straniero. Gli americani tentarono di monopolizzare i locali di proiezione, per concatenare all’impero cinematografico d’oltre oceano anche la penisola. Pittaluga fece da cavalletta agli americani. Fu questo colpo di destrezza che mantenne l’indipendenza della nostra industria. Fu quel colpo di audacia che fondò l’efficienza del sistema Pittaluga.
Quello della produzione italiana è stato naturalmente il supremo e logico scopo dell’opera pittalughiana. Impedire i trusts americani non era che proteggere le possibilità della produzione nostrana; e, se per tanti anni egli non dette che film stranieri, questo è dipeso dai fatto che la produzione italiana non esisteva. Intanto, egli stesso, a Torino, con la « Fert » e con i film Piittaluga, ritentava la produzione senza stancarsi degli esiti poco felici. Furono queste esperienze che gli fecero intendere come tutto sia organizzazione. Ed egli stava comprendendo perfino che molto conti pure la finezza artistica e il nuovo anticonvenzionale. Egli stava avendo le prove della evoluzione del pubblico. Doveva constatare che la platea moderna si secca di veder la stesse cose, e piu o meno sempre la medesima storia, al solito modo. Fino allora Pittaluga aveva creduto che fosse industrialmente rischioso allontanarsi dalle formule convenute. Qualcuno della vecchia mentalità ancora crede come lui che, per fare accortamente quest’industria, si debba procurare di non allontanarsi dalle convenzioni già stabilite col pubblico: appunto da quelle forme che creano l’equivoco del cinema oggi piu rifuggito: modo di lavorare in malafede, legando l’asino dove vuole il padrone. Scriveva il mio amico Blasetti che « Pittaluga ha certamente commesso più errori che non ciascuno degli uomini attualmente operanti nel cinematografo. Ma ha costruito e vinto tanto quanto tutti costoro, messi insieme, non hanno e non potranno più: ha restaurato la produzione italiana ».
ANTON GIULIO BRAGAGLIA.
Di seguito alcuni link utili per approfondimenti e ulteriori notizie sulla figura di Stefano Pittaluga
Wikipedia
Archivio Luce
tototruffa2022.it
umbertocantone.it
accademia.edu